giovedì 26 marzo 2009

Il no olofrastico

Ci imbattiamo spesso in frasi del genere: "Assemblea dei soci e non", "sostanze affini e non" . Quel non è sbagliato e va sostituito con un no. "Assemblea dei soci e no", sostanze affini e no".

"No" (come "sì") riassume in sé un’intera frase mentre "non" non può stare da solo e non pone termine alla frase. Pertanto è corretto dire: "Vieni o no?" ma anche "vieni o non vieni?".

Elio Vittorini intitolo in modo corretto il suo romanzo "Uomini e no".

mercoledì 25 marzo 2009

Quaranta regole di Umberto Eco per scrivere bene

1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
4. Esprimiti siccome ti nutri.
5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
7. Stai attento a non fare... indigestione di puntini di sospensione.
8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
9. Non generalizzare mai.
10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
12. I paragoni sono come le frasi fatte.
13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
15. Sii sempre più o meno specifico.
16. La litote è la più straordinaria delle tecniche espressive.
17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
19. Metti, le virgole, al posto giusto.
20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso e! tacòn del buso.
22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?
24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
26. Non si apostrofa un articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
32. Cura puntigliosamente l’ortografia.
33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
34. Non andare troppo sovente a capo. Almeno, non quando non serve.
35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
38. Non indulgere ad arcaismi, apax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differanza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero
eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competente cognitive del destinatario.
39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
40. Una frase compiuta deve avere.

(U. Eco, La bustina di Minerva, Bompiani, 2000)

martedì 24 marzo 2009

Sette appunti volanti

I sette consigli che detti a una ragazza in seguito alla lettura di un manoscritto:

1. Usa le parole nel loro esatto significato (per es. la madre della ragazza violentata dal soldato francese non dovrebbe essere “terrorizzata”, semmai “disperata” o qualcosa del genere).
2. Economizza le parole. In fase di revisione per ogni periodo chiediti se riesci ad esprimere lo stesso concetto con meno parole
3. Non usare termini quali “ossia” o “cioè”. Quando dici qualcosa dillo nel modo più chiaro così non ci sarà bisogno di ulteriori spiegazioni. Questi termini possono essere tolti con costrutto anche in caso di traduzione di parole straniere
4. Fai un uso parco di “dunque” e intercalari simili. Nella lingua parlata vanno bene, in quella scritta sono un po’ come la pubblicità nei film. Non che siano sbagliati ma interrompono il discorso e spesso possono essere eliminati con vantaggio.
5. Usa poco o elimina del tutto i gerundi.
6. Usa l’accento acuto. Usare sempre quello grave secondo i puristi non è un errore, nell’Ottocento lo si faceva spesso, ma ormai è invalso l’uso di segnalare in modo diverso i due accenti
7. Dopo un segno di punteggiatura va uno spazio, prima no.

sabato 21 febbraio 2009

Prima il nome

A uno studente che gli chiedeva di firmare il libretto di frequenza in cui aveva anteposto il cognome al nome, Giosuè Carducci, professore a Bologna, restituì il libretto in modo sgarbato: "Torni quando avrà imparato a scrivere il proprio nome".

Di un altro episodio fu protagonista Alessandro Manzoni che una volta si sentì domandare se fosse proprio suo un sonetto che recava la sua fiirma. "Quand'anche non l'avessi vista" rispose lo scrittore "sarebbe per me nota sufficiente di falsità il sapere che il cognome ci si trova anteposto al nome di battesimo, cosa non mai usata da me nel sottoscrivermi".

venerdì 20 febbraio 2009

L'importanza della punteggiatura


Per difendere un alunno che sbagliava la punteggiatura, un maestro disse al direttore che la punteggiatura non era poi così importante.
Il direttore invitò l’alunno a scrivere un’altra frase. “Il maestro dice” dettò “il direttore è un asino”.
Il maestro insorse. “Ma che cosa dice. Ci mancherebbe! Non mi permetterei mai”
“E ora” continuò il direttore, mettiamo la punteggiatura. “Il maestro, dice il direttore, è un asino”.

La corretta punteggiatura è indispensabile per dare senso alla frase. Quanto poi a scrivere in modo chiaro sono ancora attuali le regole scritte nel 1946 da George Orwell in “Politics and English Language"

Non usate mai una metafora, una similitudine o un’altra figura retorica che trovate scritta spesso
Non usate mai una parola lunga se una breve ha la stessa funzione
Se è possibile togliere una parola, toglietela
Non usate mai una frase straniera, un termine scientifico o in gergo se c’è un equivalente
Contravvenite a qualunque di queste regole piuttosto che dire qualcosa di decisamente barbaro

L'indice di leggibilità


Ieri ho ricevuto un nuovo racconto per l’antologia Gialloscacchi. Ho cominciato a leggerlo: “Ci siamo. Oggi è il giorno. Ho comprato il normografo, mesi fa, in un altro quartiere. No, niente paura. Nessuna telecamera in negozio. Nessuna ricevuta da firmare. Chi vuoi che compri un normografo usando la carta di credito? Solo un pazzo”.
Lo squillo del telefono ha interrotto la lettura.
“Hai ricevuto il racconto di ***?”
“Buono”
“Già letto?”
“No, ma per giudicare uno scritto bastano poche righe. Conosci la formula di Flesch?”
“No”
“È un test di leggibilità. Il racconto la supera”.

Nella scuola italiana si insegna a scrivere senza errori ma non a essere leggibili. Ma scrivere senza riuscire a comunicare non serve a niente. La formula di Flesch dovrebbe essere insegnata a scuola. La trascrivo nella versione adattata all’italiano da Roberto Vacca nel 1979:

F = 206 − (0,6 * S) − P

Dove:
F è la leggibilità
S è il numero delle sillabe contenute in un campione di 100 parole
P è il numero medio di parole per frase calcolato su un campione di 100 parole
206 è una costante che serve a mantenere i valori finali dell'applicazione della formula fra 0 e 100
0,6 è una costante relativa alla lunghezza media delle parole dell'italiano

Un testo può essere considerato ad alta leggebilità quando il valore è superiore a 60; a media, quando si colloca tra 50 e 60 e a bassa leggebilità quando è inferiore a 40.

Secondo Vacca l'indice di leggibilità è 100 in un libro di lettura di prima elementare. I buoni scrittori si collocano a 65. I politici sono sotto 20 e i regolamenti di applicazione delle nostre leggi sono a meno 200.

Per la lingua italiana esiste anche l'indice elaborato dal Gruppo universitario linguistico pedagogico.
Il Gulpease usa la lunghezza delle parole, anziché delle sillabe.
Anche quest'indice va da 0 (illeggibile) a 100 (leggibilità massima). Inoltre, l'indice Gulpease, a differenza della formula di Flesch-Vacca, permette di valutare la leggibilità di un testo rispetto al livello di scolarizzazione del lettore.
La formula dell'indice Gulpease è la seguente:

Leggibilità Gulpease = 89-LP/10+3*FR

con: LP = (totale lettere*100) /totale parole e FR = (totale frasi*100) /totale parole


Il problema delle maiuscole

Ieri sera un amico, docente a scienze politiche presso l’Università di Siena, mi ha telefonato perché gli era sorto un dubbio improvviso sul problema delle maiuscole.
Al volo il mio consiglio è stato: “in caso di dubbio scrivi in minuscolo. Se sbagli per troppe maiuscole fai la figura del cafone, in caso contrario alla peggio sarai considerato uno snob”.
Poco dopo gli ho inviato la mail che riporto.“La regola grammaticale è questa: le maiuscole si usano (solo) per i nomi propri di persone o di cose.
Pertanto sembra corretto scrivere:
Lega Nord
Radicali Italiani
Università degli Studi di Firenze
Beninteso, in altri casi "nord", “italiani” e "università" vanno scritti minuscolo. Per esempio "Le università italiane si trovano tutte a nord di Lampedusa".
Sembra facile, ma l’interpretazione della regola non sempre è semplice e conduce a discussioni infinite anche tra puristi.
Si scrive "fiume Po" ma si scrive "Fiume Giallo". Nel primo caso, infatti, "Po" può stare anche da solo ("Ho fatto il bagno nel Po", nel secondo entrambe le parole fanno parte inscindibile del nome. Se abitassimo dalle parti del Fiume Giallo probabilmente dovremmo comportarci in modo inverso.
Si scrive "Il presidente Napolitano", "papa Giovanni" (altri preferiscono Papa Giovanni e sbagliato non è), ma, se non accompagnato dal nome di persona, andrebbe scritto "il Papa disse", "Il Presidente disse". Su questo non tutti sono d'accordo. Mi riferisco ai puristi, non agli antipapisti e ai monarchici che, di certo, non hanno dubbi. Si scrive "La lingua italiana" ma si deve scrivere "l'Italiano è portato alla musica" perché in questo caso l'aggettivo "italiano" è diventato come il nome proprio di un gruppo di individui.
Si scrive "La regione Toscana", "la squadra di calcio toscana".
Dio andrebbe scritto in maiuscolo (a meno di non essere atei) e dèi minuscolo:"La dea Venere".
Sole, terra, luna ecc., che sono certamente nomi propri, si scrivano invece in minuscolo fuori dal linguaggio rigorosamente scientifico.
Aldo Gabrielli prima dice che i titoli andrebbero scritti tutti con lettere maiuscole (I Promessi Sposi, La Divina Commedia) ma poi tentenna al pensiero di titoli lunghi. Gli vengono in mente "Niente di nuovo sul fronte occidentale" o "Figurine del mondo vecchio e del secolo nuovo" e conclude. "Certo, dopo il consiglio ora dato, c'è da rimanere interdetti. Vado a guardare il catalogo mondadoriano: tutte minuscole, salvo, s'intende, la prima iniziale. E credo che sia la risoluzione migliore, perché in certi casi è bene metter da parte la regola e guardare alla logica: anche l'occhio vuol la sua parte. E poi, su una cosa credo che tutti, grammatici e non grammatici, vadano d'accordo: meno maiuscole useremo e tanto meglio sarà".
Nella pratica è invalso l’uso di mettere in maiuscolo tutte le parole di un ente e di usare la maiuscola solo per la prima parola per il titolo di un libro. La regola ha perso un po’ di coerenza. Forse non sarebbe male estendere l'uso invalso nello scrivere i titoli dei libri anche agli enti: “Federazione scacchistica italiana” o “Ministero della pubblica istruzione”.
Qui mi addentro in un campo un po’ minato. Nei documenti burocratici preferisco tutto maiuscolo, in un romanzo preferisco veder scritto come se fosse il titolo di un libro.
Io, almeno, quando nessuno mi vede, mi comporto così.